Verso il Consiglio Nazionale/Situazione interna e estera cambiate profondamente Un fronte politico diverso da quello conosciuto di Riccardo Bruno Il segretario del partito Francesco Nucara, con due articoli sulla "Voce" pubblicati a breve distanza di tempo, ha posto ai repubblicani l’esigenza di una ripartenza e invitato gli amici, in prossimità dei lavori del Consiglio Nazionale, a dare un loro contributo. Solo pochi mesi fa abbiamo svolto il nostro Congresso e da allora la situazione interna e quella internazionale sono completamente cambiate. Il Congresso si era aperto con la rivolta in Tunisia e concluso con il ministro dell’Economia italiano che escludeva categoricamente ulteriori manovre finanziarie oltre a quella appena varata. Tremonti non è più al suo posto e la grande trasformazione democratica del medio oriente ha assunto aspetti inquietanti. E’ vero che sono cadute quasi tutte le dittature di impostazione politica nasseriana, ma a vantaggio delle istanze islamiste, in Tunisia come in Egitto. La Libia invece è nel caos totale. L’unico regime nazionalista che resiste, nemmeno fosse un caso, è quello siriano e cioè anche l’unico di derivazione socialista legato sin dal primo momento alla rivoluzione iraniana. E l’Iran oggi rappresenta il nuovo problema atomico del mondo. Proprio quando l’Agenzia per l’energia nucleare ne ha denunciato la minaccia, i regimi nazionalisti arabi anti-iraniani e i loro leader sono caduti uno dopo l’altro. A Teheran sono lieti per questo da quando Bush ha cacciato i talebani da Kabul e poi Saddam da Baghdad, ma non provano riconoscenza. Piuttosto gli ayatollah pensano a espandersi. Perfino la Turchia, fino a ieri punta avanzata della Nato, è esposta al rischio di venire risucchiata. Il mondo occidentale, che se ne è accorto all’indomani dell’assalto all’ambasciata britannica a Teheran, è impegnato in un nuovo braccio di ferro. Presi come siamo dai problemi finanziari che ci travagliano, non sembriamo molto preparati a fronteggiare questa nuova sfida. Certo non lo è l’Europa, e non è una novità. Il problema è che non sappiamo se sarà pronta l’America, ancora impantanata in Afghanistan. Se la situazione dovesse precipitare nei prossimi mesi, lo scenario che ci attende potrebbe rivelarsi ancora più complesso e scivoloso di quello conosciuto ai tempi della guerra fredda. La Russia e la Cina svolgerebbero un ruolo determinante e al momento non sembrano paesi particolarmente rassicuranti. Tale quadro internazionale, di per sé, meriterebbe un ripensamento approfondito della nostra politica estera e una qualche valutazione particolare della politica statunitense nell’area, che il nostro partito dovrà pure cominciare a svolgere rompendo un silenzio che dura da troppo tempo. Ho il netto timore che i nostri tradizionali riferimenti atlantisti non siano più adeguati a comprendere i processi di riequilibrio politico internazionale in corso. Ovviamente siamo più presi dalle questioni europee che gravano sull’Italia. Se davvero la moneta unica dovesse essere prossima ai suoi ultimi giorni, la costruzione europea, quale fu pensata da Maastricht in poi, subirebbe un contraccolpo durissimo. Non si può nemmeno sottovalutare l’ipotesi che, mentre l’Iran guadagna in influenza e si espande, l’Europa perda punti di riferimento consolidati e l’America si scopra in affanno. Le prospettive internazionali che accompagnano i passi compiuti nella situazione italiana sono tali da aprire incognite e preoccupazioni gravi. E anche su questo il partito avrà bisogno di uno sforzo apposito di ulteriore riflessione. Veniamo ora ai cambiamenti interni. Bisogna ripartire innanzitutto dalla caduta del governo Berlusconi. Sono molti coloro che avevano scommesso sul tramonto del berlusconismo eppure a me non sembra che siano già passati all’incasso. Il governo Berlusconi è caduto, ma Berlusconi è ancora in maggioranza e lo è, incredibilmente, con la sua stessa opposizione. Ci hanno raccontato per anni che bisognava stare "di qua o di là", per poi accorgersi che il "qua" ed il "là" devono unirsi per gestire una fase di transizione delicata e complessa. E’ evidente che nessuno dei due opposti è preparato e questa è la debolezza vera del governo Monti. C’è una discussione nell’opinione pubblica, da Giuliano Ferrara a Scalfari, sulla situazione democratica del paese che mi sembra sia stata troppo drammatizzata. Il governo Berlusconi si è dimesso e il Capo dello Stato ha proposto una soluzione alla crisi che le Camere al momento hanno approvato. Questo è a garanzia costituzionale della scelta intrapresa. Il problema vero è se Monti riuscirà dove gli altri hanno fallito. E se riuscirà a mettere in sicurezza i conti dello Stato, come io spero, questo cambierà i connotati della politica quale l’abbiamo conosciuta negli ultimi anni. L’amico Valbonesi ha scritto nel suo intervento che una fase del bipolarismo maggioritario muscolare si è conclusa. Ha ragione. Bisogna capire però se questo significhi anche il superamento o meno del bipolarismo maggioritario. Il governo Monti ci dice che non serve una contrapposizione frontale ma una piena e leale collaborazione fra partiti. Solo che due blocchi concepiti in modo contrapposto hanno difficoltà a gestire una qualche politica comune. E’ proprio un vuoto politico che consente la nascita del governo Monti. E ciò non è rassicurante. Perché, se non si colmerà questo vuoto, le elezioni anticipate sono la prospettiva più plausibile e bisognerà prepararsi. Gli amici che confidano comunque sulla durata del governo fino alla conclusione naturale della legislatura sperano probabilmente che si possano anche appianare contrasti e difficoltà concernenti la collocazione naturale del partito; e ritengono la nostra piattaforma liberaldemocratica dirimente per le alleanze. Il problema vero è la crisi della prospettiva liberale: che risale a due secoli fa, conclusasi l’epopea cavouriana. Il liberalismo ha avuto successo il secolo scorso nell’est europeo, non da noi, dove ne hanno tratto giovamento solo le idee innovative del New Labour di Tony Blair. Noi siamo convinti sostenitori dei principi liberali, ma proprio per questo non può sfuggirci la loro vocazione minoritaria nel nostro paese e in Europa. La sconfitta del terzismo liberale britannico induce a pensare a un ritardo di tale prospettiva per tutto il continente. Anche se esiste un’area liberale estesa nella vita politica italiana, trasversale ai due schieramenti, sappiamo che è difficile unificarla. E con l’attuale sistema elettorale è addirittura impossibile. Se un terzo polo non riesce a sbloccare la questione della legge elettorale è destinato al fallimento: che sarebbe sancito con un ritorno al "Mattarellum". Visti i risultati del "Patto per l’Italia" del ‘94, una tale prospettiva è improponibile. Molti amici dentro e fuori del partito hanno scritto e detto invece che una forza politica come quella repubblicana ha il compito di costruire un’alternativa. Hanno ragione, solo che sembrano ignorare la legge maggioritaria per la quale l’alternativa c’è già ed è data dallo schieramento che è stato sconfitto nella passata tornata elettorale. Quando si parla di alternativa al centrodestra con questo sistema ci sono solo due soluzioni possibili: la sinistra o il cambiamento interno del centrodestra. Il Pri, se lo ritiene, può confluire con la sinistra come abbiamo fatto nel 2000 con la destra, alla fine della legislatura, oltre ogni limite del buon senso, leali a un mandato popolare che ci era stato affidato e presi a calcioni per cinque anni. Va detto che la sinistra di Bersani, Vendola e Di Pietro a Vasto ha un assetto tale che nemmeno Casini appare tentato dal parteciparvi. Piuttosto credo che dovremmo applicarci per migliorare la situazione all’interno della coalizione a cui abbiamo fatto capo in questi anni. E già questo mi sembrerebbe un compito molto difficile, figurarsi l’aggregarci ad un altro polo che ha il suo epicentro nel mondo socialista. Dovremmo cercare piuttosto di favorire l’aggregazione fra i cattolici, anche del centrosinistra, e vedere se questa fa emergere i liberali dei due schieramenti, per radunarli. Non c’è una ragione vera perché Alfano e Casini stiano in diversi partiti, se entrambi si riconoscono nel Partito popolare europeo. Al contrario di quando negli anni ‘70 i liberali tedeschi e britannici collaboravano con i socialisti, oggi collaborano con i conservatori e questo è un dato sufficiente per capire la nostra collocazione. Ho solo il dovere di aggiungere che questa collaborazione non aiuta a farci crescere, né loro, britannici e tedeschi, né noi italiani. Se il governo Monti tiene, questa può essere un’opportunità per aggredire le questioni più pratiche che il paese si trova di fronte. Sui problemi, sui contenuti, si può costruire un fronte politico diverso da quello conosciuto finora. Io non aprirei però al "capitalismo borghese", lo dico all’amico Collura, ma a tutti coloro che vogliono un maggiore sviluppo, anche perché "il capitalismo borghese", in senso proprio, se già non si è estinto, si è rivolto oltre i patri confini. L’amico Alberto Fuzzi ha scritto che oggi i pensionati non sono più la categoria debole del paese, e sono d’accordo. Da tempo non lo sono nemmeno i lavoratori e noi abbiamo avuto nel nostro partito chi voleva formare un sindacato di disoccupati già negli anni ‘70. Quella era la strada che avremmo dovuto seguire e che invece, temo, abbiamo perso. Sarebbe ora di riprovare ad imboccarla. |